Le Complicanze del Diabete

LE COMPLICANZE DEL DIABETE POSSONO ESSERE CLASSIFICATE IN ACUTE E CRONICHE

Le complicanze acute hanno un esordio celere e richiedono un rapido intervento di correzione. Sono imputabili a livelli di glucosio nel sangue molto bassi (ipoglicemia) o molto elevati (iperglicemia), che possono portare addirittura al coma; anche le infezioni possono essere delle complicanze acute del diabete scompensato.

Le complicanze croniche invece insorgono lentamente nel corso degli anni. Dipendono dalla durata della malattia, dal tipo di diabete e dalla qualità del controllo: avere infatti valori di glucosio ematico nei limiti riduce il rischio. Le maggiori complicanze che si possono sviluppare sono quelle legate alla compromissione dei vasi sanguigni, sia a carico dei grossi vasi che irrorano cuore, cervello e arti (macroangiopatia), sia a carico dei piccoli vasi che irrorano la retina dell’occhio e il rene (microangiopatia). Anche il sistema nervoso periferico può essere danneggiato dall’iperglicemia cronica (neuropatia) e comportare il rischio di lesioni agli arti inferiori (piede diabetico).

COMPLICANZE ACUTE

La chetoacidosi diabetica è una grave complicanza che si realizza per una carenza di insulina assoluta o relativa,accompagnata da un incremento di ormoni controregolatori (glucagone, cortisolo, ormone della crescita e l'adrenalina). Questo comporta un incremento del rilascio di glucosio da parte del fegato (iperglicemia) con aumento dell’escrezione urinaria (glicosuria), successiva perdita di acqua e di soluti condisidratazione ed un incremento della sensazione di sete. L'assenza di insulina, comporta anche il rilascio di acidi grassiliberi dal tessuto adiposo (lipolisi), i quali vengono convertiti, sempre a livello epatico, nei corpi chetonici (acetoacetato e β-idrossibutirrato).

La chetoacidosi è l’evento acuto proprio del diabete mellito di tipo 1 in scompenso metabolico protratto che compare all’esordioo in presenza di malattie intercorrenti (infezioni..)o di fattori scatenanti (febbre, farmaci) responsabili di un aumento in acuto del fabbisogno insulinico.

La sintomatologia comprende: polidipsia, poliuria, nausea, vomito, odore acetonico, astenia grave, dolori addominali, calo della vista, disturbi del sistema nervoso fino al coma.

La sindrome iperglicemica iperosmolare è l’evento acuto proprio del diabete mellito di tipo 2 in scompenso metabolico protratto che compare all’esordio oppure in presenza di malattie intercorrenti (infezioni, infarto..) o di fattori scatenanti (febbre, farmaci..).Si caratterizzata per iperglicemia in assenza di chetosi significativa,per la presenza di una residua funzione beta-pancreatica.L’iperglicemiaprovoca diuresi osmotica che in assenza di un apporto di acqua sufficiente ad equilibrare la perdita urinaria di liquidi porta a grave disidratazione e riduzione filtrato glomerulare. I Sintomi iniziali possono essere sfumati (nausea, vomito, calo ponderale, poliuria), segue poi uno stato confusionale che evolve spesso rapidamente in coma.

L’ipoglicemia consiste in una diminuzione del livello di glucosio nel sangue al di sotto dei valori di normalità <70 mg/dl. E’ la complicanza acuta più frequente nel diabete ed è anche il principale fattore limitante nella terapia del diabete di tipo 1 e di tipo 2.

Le cause possono essere: mancato rispetto degli orari e della tipologia della dieta, attività fisica non prevista, insulina o ipoglicemizzanti orali assunti in quantità eccessive.

I sintomi dell’ipoglicemia possono essere svariati: malessere generale, sensazione di fame, senso di debolezza, spossatezza, mal di testa, tremori, sudorazione, palpitazioni cardiache, indebolimento della vista, pallore, sonnolenza, depressione, irritabilità, cambiamento di personalità, incubi notturni, difficoltà di risveglio.

Vengono definiti tre gradi di ipoglicemia:

§ il grado lieve dove sono presenti solamente sintomi neurogenici (come tremori, palpitazione e sudorazione) e l’individuo è in grado di autogestire il problema

§ il grado moderato, dove a questi sintomi si aggiungono sintomi neuroglicopenici (come confusione, debolezza), ma dove l’individuo è in grado di autogestire il problema

§ Il grado grave, dove l’individuo presenta uno stato di coscienza alterato e necessita dell’aiuto o della cura di terzi per risolvere l’ipoglicemiaSi definisce poi Ipoglicemia asintomatica l’evento senza i tipici sintomi dell’ipoglicemia ma con glicemia < 70 mg/dl (3.9 mmol/l). Il trattamento di scelta dell’ipoglicemia lieve è il glucosio (15 g per os), infatti 15 g di glucosio aumentano la glicemia di circa 38mg/dl a 20', ricontrollando la glicemia dopo 15 min. Il trattamento delle forme gravi consiste invece nell’utilizzo del glucosio ev in soluzioni ipertoniche (dal 20 al 33%) in presenza di accesso venoso, qualora questo non fosse disponibile è indicato l’utilizzo di glucagone per via intramuscolare o sottocutanea.

COMPLICANZE CRONICHE

Un adeguato controllo glicemico è di fondamentale importanza nella cura del diabete mellito, in particolare per la prevenzione dell’insorgenza e della progressione delle complicanze a carico d el microcircolo della retina, del rene e dei nervi periferici oltre che ad un precoce e multidistrettuale coinvolgimento del macrocircolo (coronarie, vasi cerebrali e degli arti inferiori). A causa di queste complicanze il diabete è la principale causa di cecità ed insufficienza renale (e quindi dialisi e trapianto renale) in età lavorativa nei paesi occidentali. Il rischio di malattia cardiovascolare, (infarto miocardico, ictus, arteriopatia obliterante periferica) è 2-5 volte superiore rispetto alla popolazione non diabetica.

Diversi studi osservazionali hanno evidenziato una relazione tra livelli di glicemia e di emoglobina glicata (HbA1c) e incidenza di complicanze micro vascolari (retinopatia, nefropatia e neuropatia) e macrovascolari. Per valori crescenti di HbA1c (compresi tra 6 e 11%) il rischio relativo di eventi CV aumenta in maniera lineare e questo tipo di relazione si conferma anche in pazienti con valori di HbA1c considerati nella norma (tra il 5 e il 7%).

Sia nel DM1 che nel DM2 la precocità di intervento risulta essere uno strumento particolarmente efficace nella prevenzione delle complicanze sia micro che macrovascolari.

Un altro aspetto fondamentale nel controllo delle complicanze risulta essere il controllo degli altri fattori di rischio come dimostrato dallo studio Steno-2 nel quale, soggetti con DMT2, sottoposti a trattamento intensivo dell’iperglicemia, dell’ipertensione, della dislipidemia e della microalbuminuria, nell’arco degli 8 anni di follow-up,avevano una diminuzione di oltre il 50% del rischio CV.

Le malattie cardiovascolari sono la causa principale di mortalità e morbilità dei soggetti diabetici. L’apparato cardiovascolare è principalmente colpito dalla macroangiopatia che consiste nella degenerazione della parete delle arterie analoga all’aterosclerosi che colpisce la popolazione generale, ma che nel paziente diabetico si manifesta più precocemente e con quadri clinici di maggiore gravità . La macroangiopatia è causa di ischemie a carico di diversi organo che si manifestano con svariati quadri clinici: angina pectoris, infarto miocardico, ictus e attacchi ischemici transitori cerebrali, claudicatio intermittens, gangrena agli arti inferiori , ipertensione nefrovascolare, etc. La patologia dei grossi vasi è particolarmente frequente nel diabete mellito di tipo 2, anche se oltre ai livelli glicemici e alla durata della malattia, assumono particolare rilevanza altri fattori di rischio concomitanti come fumo di sigaretta, ipertensione arteriosa, dislipidemia e proteinuria.

I diabetici italiani presentano un eccesso di mortalità pari al 30-40% rispetto alla popolazione non diabetica, eccesso che sembra ridursi in presenza di un’assistenza strutturata e specialistica.

Anche i pazienti con diabete tipo 1 presentano un rischio cardiovascolare aumentato rispetto alla popolazione non diabetica e tale aumento sembra essere condizionato dalla copresenza degli stessi fattori di rischio che operano nel diabete tipo 2.

La retinopatia diabetica è la più importante complicanza oculare del diabete mellito e costituisce nei paesi industrializzati la principale causa di cecità tra i soggetti in età lavorativa. La retinopatia diabetica è il danno che l’iperglicemia cronica provoca ai vasi della retinaed è una complicanza vascolare altamente specifica del diabete, sia del tipo 1 sia del tipo 2. La retina è un tessuto sensibile alla luce nella parte posteriore dell’occhio. Quando la luce entra nell’occhio, la retina la trasforma in segnali nervosi che invia, attraverso il nervo ottico, al cervello. Un danno del tessuto retinico può determinare la perdita della vista.

Le alterazioni principali causate dall’iperglicemia cronica sono l’aumento della permeabilità vasale che provoca da una parte fuoriuscita di liquidi dai vasi (edema retinico diffuso e localizzato) e dall’altra fuoriuscita di sangue (emorragia). Possono comparire delle occlusioni microvascolari (dei piccoli vasi retinici) che possono causare sofferenza ischemica e ipossia (mancanza di apporto di ossigeno) retiniche; queste, se non adeguatamente trattate, potranno portare alla formazione di neovasi (o vasi neoformati) nel tentativo di ripristinare un normale arrivo di sangue. La RD viene distinta in due stadi: non proliferante e proliferante. La retinopatia non proliferante a sua volta viene distinta in tre stadi di crescente gravità: lieve, moderata e grave o preproliferante sulla base della presenza e numerosità delle lesioni. La forma lieve è caratterizzata dalla presenza di rari microaneurismi ed emorragie; l’incremento di tali lesioni, associato alla comparsa di essudati duri, definisce il quadro di moderata gravità; lo stadio non proliferante grave è caratterizzato dalla coesistenza di numerosi microaneurismi, noduli cotonosi, emorragie retiniche profonde, anomalie del calibro venoso ed anomalie microvascolari intraretiniche. L’identificazione della retinopatia non proliferante grave è importante in quanto essa evolve in retinopatia proliferante in circa la metà dei casi entro 12 mesi.

La retinopatia proliferante è caratterizzata dallo sviluppo di capillari neoformati (neovasi o neovascolarizzazioni), che rappresentano un tentativo di supplire alla ridotta perfusione retinica. I neovasi presentano una parete costituita da solo endotelio e, pertanto, sono molto fragili e sanguinano facilmente, causando emorragie pre-retiniche ed endovitreali. Le neovascolarizzazioni possono essere localizzate sulla retina e/o sulla papilla ottica e si accompagnano ad un’impalcatura fibrosa che prende inserzione sul piano retinico ed all’interno della cavità vitreale. La contrazione di tale tessuto può essere causa di distacco retinico secondario.

Sia la retinopatia non proliferante che la retinopatia proliferante possono essere complicate da un danno della parte centrale della retina, la macula, di tipo edematoso e/o ischemico, cui consegue una grave compromissione delle funzioni visive, in particolare dell’acuità visiva e della percezione dei colori.

Dai dati epidemiologici emerge che almeno il 30% della popolazione diabetica è affetto da retinopatia e che annualmente l’1% viene colpito dalle forme gravi della stessa.

I principali fattori di rischio associati alla comparsa più precoce e a un’evoluzione più rapida della retinopatia sono la durata del diabete, lo scompenso glicemico e l’eventuale ipertensione arteriosa concomitante, sia nei pazienti con diabete tipo 1 sia in quelli tipo 2.

Il controllo glicemico rimane il più importante dei fattori di rischio modificabili. E’ stato dimostrato, mediante studi di intervento, che ottimizzare il controllo glicemico (modificazione dello stile di vita con interventi di educazione sanitaria strutturata, intensificazione del trattamento farmacologico, supporto polispecialistico) ritarda la comparsa e rallenta il peggioramento della retinopatia, sia nei pazienti con diabete tipo 1 che in quelli tipo 2, indipendentemente dal tipo di trattamento ipoglicemizzante seguito. Inoltre, gli effetti di qualunque periodo di buon controllo metabolico sembrano persistere nel tempo grazie a un non meglio caratterizzato effetto di “memoria metabolica”. Tuttavia, due recenti metanalisi condotte sui più importanti trial cinici relativi al diabete tipo 2 concludono che il controllo ottimizzato della glicemia è efficace nel ridurre l’incidenza di nuova retinopatia e la progressione delle sole forme lievi, ma non previene l’utilizzo della fotocoagulazione e l’incidenza del danno visivo grave e della cecità. Questi dati rafforzano il concetto che il controllo ottimizzato della glicemia deve essere impostato precocemente e a scopo preventivo, quando la retinopatia non è ancora comparsa o al più presente in forma lieve, in quanto inefficace negli stadi moderati o più avanzati della complicanza.

La NEFROPATIA è un alterazioni delle strutture del rene che svolgono la funzione di "filtrare" il sangue depurando l’organismo da sostanze di scarto e tossiche. Questi "nefroni", circa 1 milione per rene, sono formati da un glomerulo renale e da un sistema di tubuli. A sua volta, il glomerulo è costituito da un "ciuffo" di anse capillari connesse tra loro, poste tra due vasi arteriosi. In pratica, il glomerulo renale non è altro che un capillare sanguigno avvolto su se stesso e intorno al tubulo renale. La funzione del rene si realizza proprio grazie al fatto che il sangue viene filtrato e nel tubulo vengono eliminate le sostanze che con l’urina verranno espulse dall’organismo. L’iperglicemia danneggiando i piccoli vasi del nefrone inizialmente è solo una perdita di sostanze che normalmente non verrebbero eliminate ma se la complicanza evolve può portare fino alla distruzione e sclerosi dei nefroni cioè alla perdita della funzione renale.

Inizialmente le alterazioni dei piccoli vasi sanguigni renali non danno nessun segnale o disturbo ma solo eseguendo un particolare esame nelle urine si riscontra una proteina (albumina) che normalmente non è presente o lo è in piccola quantità.

La microalbuminuria è considerata lo stadio più precoce della nefropatia diabetica nel diabete tipo 1 e un marcatore per lo sviluppo della nefropatia nel diabete tipo 2; l’aumentata escrezione urinaria di albumina, già nel range alto-normale è, inoltre, un marcatore di rischio di patologia cardiovascolare nel diabete e nella popolazione generale. I pazienti con alterata escrezione urinaria di albumina che progrediscono verso la macroalbuminuria (≥300 mg/24 ore) hanno un’elevata probabilità di sviluppare nel corso degli anni insufficienza renale cronica terminale.

Oltre alla valutazione della albumina urinaria anche la creatinina sierica dovrebbe essere misurata annualmente e utilizzata per la stima del GFR e la stadiazione della malattia renale cronica in tutti gli adulti con diabete, indipendentemente dal livello di escrezione urinaria di albumina, poiché la prevalenza di pazienti con insufficienza renale cronica e normoalbuminuria è elevata.

Tra le cause primarie di insufficienza renale terminale in Italia, attualmente il diabete è presente in più del20% dei casi ed è tra le 3 cause più frequenti, insieme alle patologie vascolari e alle cause ignote, che nel nostro paese sono indicate in un’elevata percentuale di casi.

Tutte le linee-guida concordano nel raccomandare l’ottimizzazione del compenso glicemico. Ampi studi prospettici randomizzati hanno infatti dimostrato che la gestione intensiva del diabete, con l’obiettivo di raggiungere valori glicemici quanto più possibile vicini alla normoglicemia, è in grado di ritardare l’insorgenza di microalbuminuria e la progressione dallo stato di microalbuminuria a quello di macroalbuminuria nei pazienti con diabete tipo 1 e tipo 2. E’ interessante notare come il beneficio di un controllo glicemico prolungato perduri anche quando i pazienti non sono più sotto stretto controllo glicemico. Infatti, lo studio EDIC (follow-up del DCCT) e il follow-up dell’UKPDS hanno dimostrato che i pazienti in stretto controllo glicemico durante lo studio avevano un minor rischio di sviluppare sia micro- sia macroalbuminuria. L’UKPDS ha anche dimostrato che il controllo della pressione arteriosa può ridurre l’insorgenza della nefropatia diabetica.

 

NEUROPATIA DIABETICA

Da anni sono state proposte numerose classificazioni; una delle più utilizzate distingue le polineuropatie simmetriche, suddivise in sensitivo-motoria cronica, dolorosa acuta e vegetativa, e le neuropatie focali e multifocali, comprendenti le mononeuropatie, le radiculopatie toracoaddominali e la amiotrofia. La neuropatia diabetica più diffusa e direttamente coinvolta nella patogenesi del piede diabetico è la polineuropatia simmetrica diffusa sensitivo-motoria distale con la tipica distribuzione a calza. La polineuropatia diabetica è stata di recente ridefinita come una polineuropatia simmetrica sensitivo-motoria lunghezza-dipendente nei pazienti diabetici attribuibile ad alterazioni metaboliche e microvascolari conseguenti all’esposizione a iperglicemia cronica e a cofattori di rischio cardiovascolare. Tra i fattori di rischio vi sono infatti il compenso metabolico, la pressione arteriosa, i lipidi plasmatici, la durata del diabete, l’indice di massa corporea, il fumo di sigaretta e il consumo di alcol. Interessa prevalentemente la sensibilità e la mobilità degli arti e si presenta spesso in modo simmetrico: in questo caso avremo disturbi a livello di entrambi gli arti, più spesso alle gambe e ai piedi che non alle mani. In queste forme è frequente avvertire una sensazione di “formicolio”, a volte dolorosa come punture di spilli o come bruciature. Altre volte, invece, la sensazione è percepita come gelo. Questi disturbi si definiscono “parestesie”. La neuropatia ha tipicamente un’insorgenza insidiosa ed alcuni pazienti possono evolvere in maniera assolutamente asintomatica verso il quadro di “piede insensibile”. Altri pazienti possono evidenziare deformità come alluce valgo e dita in griffe legate all’incombere dell’età ed essere indipendenti dalla neuropatia.

Valutare con attenzione la sensibilità periferica ed i riflessi è fondamentale per evidenziare una forma anche lieve di neuropatia periferica. Una prima serie di esami possono essere eseguiti direttamente dal diabetologo con strumenti molto semplici. Per valutare la sensibilità vibratoria, ad esempio, si usa un piccolo diapason (strumento costituito da una sorta di forchetta d’acciaio che, percossa, emette vibrazioni). Il diapason viene percosso e posizionato alla base dell’alluce. In questo modo è possibile verificare sino a che punto si percepisce la vibrazione. Per valutare la sensibilità tattile invece, si usa un piccolo filo di nylon, di solito del peso di 10 grammi. Il filo viene appoggiato in diversi punti sulla pianta del piede e si verifica in che misura il contatto viene avvertito. Per valutare i riflessi infine, si percuote il ginocchio e il tendine di Achille con un apposito martelletto. La neuropatia sensitivo-motoria è una delle complicanze più comuni del diabete ed interessa almeno un terzo della popolazione diabetica, ma è proporzionale alla durata del diabete: dopo 25 anni di diabete il 50% dei diabetici ha la neuropatia diabetica. La presenza di neuropatia è strettamente dipendente dal compenso metabolico. Gli studi DCCT e UKPDS hanno dimostrato che all’aumento dell’emoglobina glicata corrisponde un proporzionale aumento della prevalenza di neuropatia sia nel diabete di tipo 1 che di tipo 2. Insieme alla vasculopatia la neuropatia diabetica è anche causa eziopatogenetica dell’ulcera nel piede diabetico. Un importante lavoro policentrico europeo ha affermato che la neuropatia è responsabile di circa la metà di ulcere del piede e la arteriopatia è presente nell’altra metà. La conseguenza più grave della neuropatia sensitiva è infatti la diminuzione della soglia dolorifica fino alla completa insensibilità. La mancanza di dolore ha delle conseguenze molto gravi perché è il dolore che ci avverte che c’è qualcosa che ci sta offendendo il piede. E’ il dolore che ci avverte che una scarpa è stretta ed è il dolore che ci spingerà a toglierla. Se manca il dolore, continueremo ad indossare la scarpa e quando la toglieremo troveremo un’ulcera là dove la scarpa ha stretto troppo. La neuropatia sensitiva è quindi una patologia che permette ad un trauma di giungere fino al punto di instaurare una lesione, in maniera inavvertita.